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Di buon auspicio: Torino resiste


Segnaliamo l’articolo di Alessandro Ferretti sul blog del Fatto Quotidiano: :Torino, l’Università che resiste: bibliotecari rispediscono i licenziamenti al mittente” augurandoci che sia d’ispirazione e non solo di buon auspicio.

“…ci vediamo costretti ad operare il licenziamento collettivo di nr.33 unità di personale a tempo indeterminato”. Licenziati in tronco, senza ammortizzatori sociali, tramite un fax senza firma. Così inizia questa storia, giovedì scorso a Torino: ben poco originale, in questi tempi austeri.

I licenziati sono soci di una delle due cooperative che forniscono il servizio di reference delle 49 biblioteche dell’Università di Torino: stanno al bancone, accolgono gli utenti e porgono i libri. UniTo ha da anni appaltato il servizio (rimettendoci dei soldi): oltre ai 33 dipendenti di CoopCulture ci sono altri 39 esternalizzati.”

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Buone notizie da Torino


RISULTATI DELLE ELEZIONI PER LA RAPPRESENTANZA DEI PRECARI DELL’UNIVERSITA’ DI TORINO

Dalle ore 18 di venerdì 25 marzo alle ore 17 di martedì 29 marzo si sono svolte elezioni telematiche per l’elezione dei 4 rappresentanti dei precari che parteciperanno agli incontri con l’amministrazione dell’Ateneo e le rappresentanze sindacali a partire da domani, 30 marzo. All’interno di questa rappresentanza dovrà essere inoltre designato l’uditore permanente dei precari presso la Commissione per la riscrittura dello Statuto dell’Università.

Si tratta di un evento importante in quanto, per la prima volta nella storia dell’Ateneo, i precari hanno potuto eleggere in modo autonomo e democratico una propria rappresentanza.

Le elezioni si sono svolte attraverso il Sistema informatico di Ateneo, e hanno visto la partecipazione di 317 precari. Leggi tutto…

LE FURBE INTERPRETAZIONI…


Da ormai più di un mese nelle università italiane stiamo assistendo ad un vero e proprio licenziamento di massa. Gli assegni di ricerca non possono essere banditi perché il ministro ancora non riesce ad emanare le due righe di decreto attuativo della “riforma” Gelmini che ne devono fissare l’importo minimo. Rettori ed amministrazioni, paralizzati dalla paura di non si capisce bene cosa, rifiutano di rinnovare i vecchi assegni in scadenza e in alcuni casi addirittura bloccano le procedure bandite prima dell’entrata in vigore della “riforma”. Il ministero si rifiuta ostinatamente di diffondere uno straccio di nota esplicativa che tranquillizzi le burocrazie d’ateneo. A contrattisti e borsisti già in servizio alla data di entrata in vigore della “riforma” è vietato svolgere attività di ricerca (nonostante siano pagati per questo) e nessuno nel governo pensa sia il caso di sanare questa follia legislativa.
Questo stato di cose sta provocando il licenziamento de facto di 120-150 precari al giorno, domeniche comprese. Ad oggi quasi 5000 persone hanno già perso il lavoro senza essere protette da alcun tipo di ammortizzatore sociale ed è facile calcolare che, in assenza di opportuni interventi, diventeranno decine di migliaia entro la fine dell’anno.

Però…

…i timori che impediscono a rettori e amministrazioni di rinnovare e bandire assegni di ricerca, svaniscono improvvisamente quando si tratta di bandire docenze a contratto gratuite o sottopagate richiamandosi a leggi esplicitamente abrogate dalla “riforma”! Da Torino a Cosenza, dall’Aquila a Roma, i commi oramai abrogati della vecchia “riforma Moratti” sono utilizzati da rettori e presidi per bandire contratti di docenza in aperto contrasto con le normative vigenti e, alle osservazioni dei precari, si risponde invocando i regolamenti di ateneo o rinviando ad un secondo momento l’eventuale adeguamento alla nuova normativa. Come se gli atenei avessero l’indipendenza della Repubblica di San Marino e nell’ordinamento giuridico italiano non vigesse una gerarchia delle fonti che pone i regolamenti interni di un ateneo in un rango nettamente inferiore rispetto alle nuove disposizioni di legge.

Questa politica di ignorare le novità della legge Gelmini per evitare di sopprimere corsi e al tempo stesso abbandonarsi alle interpretazioni più ottusamente pignole quando si tratta di licenziare precari è inaccettabile! Si adotti una coerente linea di comportamento, si ponga fine al licenziamento dei precari e si abbandoni per sempre la deprecabile abitudine di bandire contratti di docenza gratuiti o sottopagati.

Coordinamento ricercatori e docenti Precari – Università (CPU)
https://coordinamentoprecariuniversita.wordpress.com/

Gruppo Facebook: http://www.facebook.com/home.php?sk=group_130272773706605

Incarichi di docenza al Politecnico di Torino


Lettera al rettore del Politecnico di Torino

Magnifico Rettore,
le Facoltà di Architettura della Sua università hanno appena emanato due
bandi (avvisi n. 3/2011 e 4/2011) per complessivi 33 incarichi di docenza.

Le segnalamo che a nostro parere tali bandi sono irregolari in quanto richiamano esplicitamente le norme dell’articolo 1, comma 10, della legge  230/05 (c.d. “legge Moratti”), appena abrogati dall’articolo 29, comma 11, lettera c, della legge 240/10 (c.d. legge Gelmini), e del D.M. 8 luglio 2008 che, a decorrere dal 29 gennaio u.s., ha cessato i propri effetti in quanto decreto attuativo del già citato comma della legge Moratti.

Per quanto riguarda il richiamo all’articolo 23, comma 2, della legge
Gelmini, al momento tali disposizioni possono essere utilizzate unicamente
per l’assegnazione di incarichi di docenza ai professori e ai ricercatori,
ma non possono essere richiamate per l’assegnazione di incarichi a personale esterno o non strutturato in quanto non è ancora stato emanato il decreto ministeriale che ne fissa la retribuzione. Va da sé che, una volta emanato quest’ultimo decreto, l’importo degli incarichi di docenza dovrà essere quello ministeriale e non avranno alcun valore eventuali preesistenti
tabelle interne degli atenei.

Certi della Sua cortese attenzione, cogliamo l’occasione per porgerLe i nostri migliori saluti,

Coordinamento ricercatori e docenti Precari – Università (CPU)

Il disagio di un giorno vale molto più di un domani senza futuro


Lettera aperta al Sindaco Chiamparino e ai nostri concittadini

Caro Sindaco,

in seguito alla giornata di mobilitazione del 30 novembre scorso contro l’approvazione alla Camera dei Deputati del disegno di legge di riforma dell’Università, cosiddetto “Gelmini”, al telegiornale regionale è stata riportata la seguente Sua dichiarazione: “Sono inaccettabili tutte le forme di lotta che puntano a paralizzare la città e creano difficoltà nella vita quotidiana a migliaia di cittadini che non hanno colpe. Se gli studenti e le loro organizzazioni persevereranno in questa direzione si alieneranno l’opinione pubblica che potrebbe invece guardare con interesse alla mobilitazione di questi giorni.

Siamo rimasti sconcertati da queste dichiarazioni. Sconcertati per il qualunquismo che racchiudono, per la pochezza di analisi e la scarsa informazione. Vorremmo pertanto tentare di chiarire alcuni elementi che aiutino un approfondimento di questa tematica, uscendo dagli slogan e dalle facili dichiarazioni populistiche.

Intanto chi erano quelle persone che sono scese in piazza? Lei le definisce genericamente studenti. Sì, è vero, la maggior parte di essi erano studenti universitari (quelli veri e non dei facinorosi scansafatiche, come invece ha lasciato intendere il Presidente del Consiglio), studenti preoccupati del loro futuro, studenti  privi di mezzi o fuori sede, preoccupati dei tagli alle borse di studio, studenti coscienti con gli occhi ben aperti, che si oppongono allo smantellamento dell’Università pubblica. Poi però c’erano anche i Precari della Ricerca. Chi sono? Cosa vogliono? In Italia sono 60.000. Persone che da anni lavorano nelle università, facendo ricerca, didattica, seguendo le tesi, scrivendo progetti di ricerca, persone con il dottorato di ricerca (che all’estero se li contenderebbero!) che vivono con contratti rinnovati di anno in anno, per 10-15 anni e che spesso si trovano a 40 anni a dover trovare un lavoro fuori dall’università, senza nessuna valorizzazione del lavoro svolto in precedenza, perché non ce la fanno più o non ci sono più soldi, non ci sono più contratti. E poi c’erano i Ricercatori. Loro sono circa 25.000 in Italia e svolgono nelle università il 40% del carico didattico complessivamente erogato. Non hanno nessun obbligo di farlo, sarebbero pagati per fare solo ricerca, ma lo fanno per passione, senza alcun riconoscimento da parte di nessuno con uno stipendio iniziale di 1.300 Euro mensili. Quella che vorrebbe essere una riforma “epocale”, la cosiddetta “riforma Gelmini”, cancella la figura del ricercatore universitario, condannando a una forma di “riserva indiana” chi ricercatore lo è attualmente.

Molti ricercatori, quelli che sono scesi nelle strade, quest’anno accademico hanno scelto con molto dispiacere di rinunciare a fare didattica, per opporsi vigorosamente a tale marginalizzazione e al peggioramento dell’Università. Erano presenti anche alcuni Professori Associati e Ordinari, che pure hanno partecipato attivamente – e questa è una novità – alla protesta contro il DDL.

E i baroni universitari? I “mandanti” di questa mobilitazione, secondo il Ministro Gelmini, coloro chesarebbero veramente interessati al mantenimento dello status quo, dov’erano? Nessuno li ha visti, nessuno ne ha sentito neppure la più flebile voce.

Da circa due anni, da quando le prime bozze di questa riforma hanno iniziato a circolare, noi, studenti, Precari e Ricercatori (la parte “debole” dell’Università, i più ricattabili) abbiamo tentato in ogni modo un confronto col Ministro. Abbiamo scritto proposte di riforma alternative, perché convinti che questo sistema universitario abbia bisogno di essere non solo riformato, ma rivoluzionato. Abbiamo tentato un confronto con le Istituzioni, con gli Enti locali (i Precari hanno tentato di aprire un tavolo regionale sulla precarietà, andato deserto), con i vertici delle Università, con la CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane).

Nessuno ha dato risposta. Ci siamo sentiti soli, abbandonati da quei professori rimasti in silenzio, e da tutti quelli che, ancora una volta, hanno accettato i fatti con rassegnazione. E, ultima, la beffa di una prova di forza del Ministro, seguita dallo sberleffo delle sue dichiarazioni “le riforme si fanno in Parlamento, non nelle piazze”.

E allora, Caro Sindaco, cosa avremmo dovuto fare? Non abbiamo interlocutori. La sua generazione è assente, distratta, pronta al più a rinvangare le glorie e i fasti di una lotta di altri tempi, quando il contesto sociale era ben diverso, le prospettive erano altre. E mentre noi dibattevamo sui possibili assetti futuri per l’Università voi eravate altrove e intenti ad altro: è emblematico il recente viaggio negli USA in cui ha illustrato il modello vincente di Torino per uscire dalla crisi. Avremmo dovuto continuare a tacere, restare in silenzio, come continua a fare da troppi anni il resto della popolazione italiana? È questo quello che Lei ci sta chiedendo?

Quello che abbiamo fatto sui tetti e per le strade, Caro Sindaco, si chiama OPPOSIZIONE. Quella che né lei, né la parte politica che rappresenta è più  in grado di fare, da tempo. Opposizione a un progetto di smantellamento di tutto ciò che è pubblico: l’istruzione, il welfare, la giustizia, … l’acqua!

Quando martedì scorso, dopo aver tentato di incidere, senza risultati, sul corso della riforma “Gelmini” attraverso proposte e tentativi di riflessione pubblica, siamo scesi per strada col nostro corteo, bellissimo, pacifico, scortato da solo quattro vigili, indaffaratissimi e solidali e siamo passati per le vie di questa città e dalle finestre si affacciava la gente applaudendo e dicendo che eravamo nel giusto, capendo che stavamo lottando per loro, per i loro figli, per il loro futuro, allora lì abbiamo compreso che forse non eravamo soli, ma che avevamo solo sbagliato interlocutori. E allora, Caro Sindaco, la smettiamo in questa lettera di rivolgerci a Lei, ai politici, ai Rettori e a chi elegge l’indifferenza e il silenzio a valore, e ci rivolgiamo ai nostri concittadini e a tutti coloro che, nonostante la rabbia iniziale per un disagio reale che abbiamo causato, avranno voglia di informarsi davvero per capire che cosa vogliamo. Ci rivolgiamo a tutti coloro che capiranno che il disagio di un giorno vale molto di più di un domani senza futuro, che vale molto di più di intere generazioni cresciute nell’ignoranza e nell’assenza di valori e che è più importante difendere i propri diritti oggi per non esserne privi domani. E quindi, cari/e concittadini/e, vi chiediamo pazienza e solidarietà per una battaglia che siamo certi essere giusta e vincente, sperando che questa nostra mobilitazione serva da risveglio delle coscienze e infonda a tutti il coraggio e la convinzione che le cose possono cambiare, che lottare contro le ingiustizie è giusto, anche se si crea un po’ di disagio.


Torino, 3 dicembre 2010


Studenti, Precari, Ricercatori, Professori e Tecnici Amministrativi in protesta degli Atenei torinesi.

Coordinamento dei Precari della ricerca e della docenza – Università (CPU)